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 Napoli. Quel mio museo
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Marcello Mottola
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Posted - 29 gennaio 2013 :  23:52:26  Show Profile  Visit Marcello Mottola's Homepage  Send Marcello Mottola an AOL message  Click to see Marcello Mottola's MSN Messenger address
Eduardo Alamaro
La repubblica - cronaca Napoli 4/3/2006

A proposito della tormentata vicenda di piazza del Plebiscito leggo, in un articolo a firma di Stella Cervasio, che nel cassetto del soprintendente ai Beni architettonici e ambientali c'è un "progetto particolareggiato" per attivare un museo dell'alto artigianato napoletano da localizzare nella grande sala circolare che sta sotto la chiesa di San Francesco di Paola, ipogeo veramente suggestivo e inspiegabilmente mai utilizzato. Ebbene l'impianto teorico di quel progetto di museo il nuovo soprintendente l'ha trovato, chiuso in quel cassetto. Infatti lo scrissi io stesso, quattro pagine "a pronta presa museale", su richiesta di amichevole consulenza scientifica dell'allora soprintendente Giuseppe Zampino, prima delle note vicende che portarono alla sua repentina e momentanea eclisse. Lo consegnai il 2 dicembre del 1997 nelle sue mani, a Palazzo Reale, e il soprintendente l'inoltrò immediatamente, coi dovuti timbri e autorevoli "lettere di transito", per adeguato finanziamento, credo subito all'allora Banco di Napoli e quindi, alla Regione ed enti vari. Poi l'eclisse, il Sogno (del Principe) nel cassetto, la bella notizia odierna dell'uscita dal "tiraturo" reale. Speriamo bene, auguri.
Per la verità storica, tale progetto di Museo dell'Artigianato d'Eccellenza, che chiamai "Mami" (Museo Arte Manifatture Industrie), era radicato in un insolito attivismo di quella Sovrintendenza sul tema dell'alto artigianato artistico, del design e in particolare delle arti industriali, di cui lo stesso Zampino era (ed è) cultore e collezionista, soprattutto della ceramica moderna e contemporanea. Infatti furono meritoriamente attivate, tra il 1996 e il '97, nelle Scuderie del Palazzo Reale, qualcuno lo ricorderà, mostre non occasionali, ma intese quale "rassegna temporanea" (e supplenza di "museo del fare") di quanto si muoveva sperimentalmente sul terreno delle arti industriali, manifatturiere e del "nuovo artigianato"; tutto ciò ponendo nei fatti, in prospettiva, come scrissi nella relazione del Mami, «la definizione di un dinamico museo d'arte ed industria attuale in Napoli, collegato (e di sostegno) ai laboratori dell'area metropolitana espansa, a partire dal suo cuore attuale, piazza Plebiscito». Non è inutile enumerare oggi alcune di quelle mostre: Artinmosaico (Collezione Bisazza); Artinceramica (Artisti nelle "faenzere" di Vietri sul mare); Dandy Design (ori e argenti attuali della collezione di Cleto Munari, editore e progettista); poi Riccardo Dalisi e i suoi Totocchi lattonieri, mostra Napolina estesa fino a Rua Catalana; tutto ciò nel tentativo di porre le premesse per un museo pulsante, non ingessato, produttivo e non solo turistico, un museo-vita e di servizio manufatturiero, fino al design; ciò «attraverso una vasta rete in grado di collegare vari punti del territorio metropolitano manufatturiero, ossia della Provincia, aventi qualità artistiche-industriali, dalla più viva attualità e/ o afferenti al passato produttivo; patrimonio edilizio, spesso minore o di archeologia industriale, che andava censito, vincolato e potenziato in modo tale da rendere ancora viva questa memoria di lavoro nell'arte». Programma ambizioso, come si vede.
Com'era strutturato il cuore poroso di questo "Mami" sotto la chiesa della piazza, radice del "sistema"? Semplice, un museo vetrina dell'eccellenza, con rapidi flash impaginati assolutamente da artisti d'oggi; con una campionatura internazionale dell'attualità produttiva e sperimentale dell'oggetto artistico-industriale in sposalizio con lacerti assoluti di quello ch'era stato il percorso delle arti dei metalli, della terra ceramica, dei legni, delle stoffe, dei coralli, nelle «Provincie napoletane», per dirla col gran Filangieri. A tal proposito, in chiusura, una preghiera, una mia superstizione: leggo nell'articolo che si evoca giustamente «la vicinanza importante» della collezione Mai, Museo Artistico Industriale dell'Istituto d'Arte Palizzi, sopra la vicina Paggeria. Infatti fu proprio questa la molla della mia idea del Mami; anzi fui interpellato dal soprintendente Zampino proprio per questi miei precedenti filangeriani: s'intendeva dare una possibilità di "uscita d'emergenza" a quel "Sogno del Principe", di cui tanto avevo scritto. Viste come sono andate le cose dal 1892, anno della morte del Gran Principe delle arti industriali diNapoli, mi sono convinto che il Filangieri porta male. Prova ne sia come sta combinato oggi il suo assoluto "sistema museale" ideato a fine Ottocento, come sta chiuso e sepolto il suo Museo civico a Via Duomo, come sta il suo Mai. Per ulteriore riprova si veda la vicenda Zampino: col Mami egli diede spazio al"Principe" e al Sogno di una Napoli artisticamente industriosa, non subalterna musealmente, ma dopo un po' mal gliene incolse. Non è vero, ma ci credo!
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