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Marianna Vitiello
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Posted - 22 giugno 2010 : 18:11:23
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GIUGNO 2010
Il degrado Divani, tavoli e angolo cottura dietro le pareti di alluminio anodizzato montate nell’Ospedale della Pace Il Mattino 20/06/2010
L’agente Massimo De Luca è entrato per primo nella chiesa dell’Ospedale della Pace, e non ha trattenuto un gesto di stizza. De Luca è uno dei primi aggregati al nucleo «beni culturali» varato all’inizio di giugno dal comandante dei vigili, Luigi Sementa, che ha deciso di contribuire al presidio dei tesori della città, anche sulla spinta delle inchieste e delle denunce del nostro giornale. Quando l’agente ha notato una parete di alluminio anodizzato piazzata dentro la sagrestia del ’600, ha immediatamente attirato l’attenzione del tenente Vicario, reggente del nucleo, che partecipava all’operazione di controllo. I due vigili, per un momento, sono rimasti attoniti. A nessuno dei due sembrava possibile quello scempio. Hanno provato ad aprire la porticina al centro della parete, ma era chiusa. Così si sono attivati, hanno contattato il responsabile e sono entrati nel nuovo «vano» ricavato all’interno dello storico edificio sacro della città. Dietro la porta, secondo il resoconto ufficiale della municipale, un vero e proprio miniappartamento con un divano che funge da letto, un angolo cottura con forno a microonde, la piastra elettrica per l’arrosto, una caraffa per scaldare l’acqua, una dispensa ben fornita con bottiglie e pacchi di generi alimentari. La chiesa, da sei anni, è stata affidata alla comunità cattolica ucraina di rito orientale. La governa padre Roman che è anche considerato il responsabile della chiesa. Il prete ha dato ai vigili la sua versione: quella parete di alluminio anodizzato era già nella sagrestia quando la chiesa gli è stata affidata. I vigili, dunque, si sono messi alla ricerca di documenti ufficiali che certifichino il momento ufficiale della realizzazione di quella struttura. La chiesa di Santa Maria della Pace appartiene al Comune di Napoli che, nel 1989, l’ha ceduta in uso gratuito alla Curia di Napoli. Nel dopoterremoto, venne utilizzata dal parroco di Santa Caterina a Formiello: la chiesa di porta Capuana era stata lesionata dal sisma e le attività vennero trasferite a via Tribunali. Quando i lavori di ristrutturazione terminarono, si decise di andare incontro alle richieste della comunità ucraina della città e il comodato d’uso gratuito fu passato a padre Roman, incaricato dal vescovo di Leopoli. L’unica certezza, oggi, è che dentro Santa Maria della Pace, è stato ricavato un vano in fondo alla sagrestia e che quel vano viene utilizzato con finalità che sembrano lontane da quelle legate strettamente al culto: «I fumi prodotti dalle attività di cucina - spiega il tenente Vicario - provocano danni agli affreschi che ancora resistono sul soffitto della chiesa. Anche il calore e gli elementi che si sprigionano dalla piastra per gli arrosti sono pericolosi. C’è, poi, la presenza di una bombola a gas che alimenta una stufa, che ci ha notevolmente preoccupato». In attesa di capire chi ha realizzato quella stanza e chi ha concesso i permessi, la polizia municipale ha inibito l’uso di quell’ambiente. Le indagini proseguiranno domani quando verranno contattati i responsabili della Curia e quelli del Comune che risulta tuttora proprietario della chiesa. I vigili spiegano che non c’è nessuna volontà di interferire con le attività della comunità ucraina di rito orientale «per questo motivo non abbiamo ancora posto sotto sequestro la struttura e non abbiamo deferito nessuno - puntualizza il tenente Vicario -. Riteniamo indispensabile approfondire e capire di chi è la responsabilità prima di procedere. Certo, se venissero evitate, almeno, le attività della cucina, sarebbe meglio...». |
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Marianna Vitiello
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Posted - 05 luglio 2010 : 21:51:52
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LUGLIO 2010
Le chiese proibite San Nicola dei Caserti Crolli e devastazione nell’antica cappella resta solo un teschio il Mattino 03/07/2010

Nascosta in una stradetta che collega via Tribunali a Forcella, la chiesa di San Nicola ai Caserti se ne sta diroccata e blindata da un portoncino chiuso con un lucchetto. Oggi la strada è malmessa e abbandonata. Un tempo in questo luogo c’era il cuore di Napoli. Proprio dove oggi c’è quel che resta della chiesa, era il ginnasio dove i giovani della città greca andavano a costruire il fisico; pochi metri più giù c’era il portico dei filosofi che trascorrevano le giornate a discutere e ad insegnare. Nella parte alta della strada erano tutti stabilimenti termali: si chiamava regione «termense». In un sottoscala che si trova in cima a via San Nicola dei Caserti proprio noi del Mattino, con gli speleologi della «Macchina del Tempo», scoprimmo nuovi e sconosciuti resti di quelle terme. E lungo questa strada, proprio davanti al luogo dove oggi sorge la chiesa, c’era il percorso delle corse «lampadiche»: le gare in onore della sirena Parthenope. I giovani più atletici si cimentavano in una lunga ed estenuante corsa portando una lampada accesa, vinceva il primo che riusciva a portare il fuoco sacro sul sepolcro della mitologica progenitrice della città. Basterebbe valorizzare un solo brandello di queste antiche e affascinanti storie per trasformare la strada e la chiesa in attrattore turistico. Invece le storie restano sepolte nei libri antichi e nei racconti colti degli studiosi, e la chiesa marcisce nel degrado e nell’abbandono. Le chiavi del lucchetto vengono gelosamente custodite dall’associazione «Alekos», fondata da Ugo De Flaviis, capogruppo alla Regione di Udeur-Popolari per il Sud. L’associazione ha un progetto per rivitalizzare quel luogo: attende la concessione definitiva dal Comune, proprietario della struttura, per entrare ufficialmente lì dentro, ristrutturare e ripulire quel che resta della chiesa, e riaprirla al quartiere con attività per i ragazzi ma anche con mostre ed esibizioni artistiche. È l’architetto Mauro Improta che si occupa in prima persona del progetto. Bisogna avere la grinta e la follìa dell’associazione Alekos per entrare nella chiesa e riuscire a intravedere un futuro. Oggi dentro la cappella fondata ottocento anni fa non c’è praticamente nulla. I quadri sono stati portati via e oggi sono conservati nella chiesa di Sant’Antonio a Posillipo e dell’Incoronata. Gli altari sono stati strappati, le lesene sono spaccate: un po’ mangiate dall’umidità e un po’ crollate per l’incuria. Le cupole sono aggredite dalla muffa e del muschio. Anche la terrasanta è stata violata e utilizzata come deposito di materiale di risulta. In quei fossi sul pavimento s’è calato lo speleologo Luca Cuttitta, e ha trovato l’unica testimonianza antica che si conserva di quella chiesa: un teschio infilato in una piccola nicchia scavata nella roccia. Chissà come ha resistito al tempo e alle devastazioni. Quella chiesa, raccontano sottovoce le persone della zona, per lunghi anni è stata nella disponibilità dei malavitosi del quartiere. Lì dentro si riunivano, occultavano armi e droga, nascondevano latitanti. Praticamente è chiusa da sempre, anche se la spallata definitiva l’ha data il terremoto del 1980. Sui muri perimetrali a stento si riconoscono i segni degli altari. Nei riquadri lasciati vuoti dalle opere d’arte trasferite, l’associazione Alekos ha in animo di riportare le tele, anche se in forma digitale. Il primo progetto prevede la proiezione delle immagini originali, a grandezza naturale, nel posto dov’erano un tempo. Dovrebbe essere il primo passo, per un ritorno verso la normalità di quel luogo che, attualmente, di normale non ha proprio nulla. Regala solo disagio e pessime sensazioni. In fondo alla chiesa, laddove c’era l’altare principale, oggi c’è una spianata senza più nulla. Anzi qualcosa c’è, uno scavo non molto profondo realizzato chissà quando, chissà da chi e chissà per quale motivo. La zona della sagrestia e quella al primo piano, dove c’era il refettorio dei sacerdoti, hanno subito in tempi recenti (circa quindici anni fa) un leggero restauro lasciato a metà. Sui muri c’è ancora la calce grezza, a terra dentro alla stanza dove i sacerdoti indossavano gli abiti sacri c’è abbandonata una vasca da bagno. Il dolore più grande arriva dentro la grande sala del refettorio che affaccia sull’antico chiostro che oggi è inglobato in un palazzo di via Pietro Colletta. Secondo gli storici napoletani del ’700 e dell’800, il pavimento del refettorio era un pezzo pregiato che tutti gli studiosi andavano a guardare. Era stato realizzato con i blocchi di marmo recuperati dal ginnasio che si trovava in quel luogo: solo un ingenuo poteva pensare che quel pavimento storico fosse ancora al suo posto. Oggi quella grande sala è pavimentata con mattoni moderni. L’ultima delusione. (24. fine) |
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